Articolo a cura del com.te Fabrizio Castellani
Ho avuto il piacere, questa mattina, di essere il pilota destinato ad accogliere all’arrivo il Moby Zaza, di rientro a Livorno dopo un’assenza durata diverso tempo.
Fa sempre una certa impressione salire dal portellino di un traghetto, entrare nel garage e trovarlo completamente vuoto. Dove solitamente si fatica a passare tra paraurti e specchietti che quasi si toccano c’è invece il vuoto completo. Ed è, almeno per me, un vuoto un po’ triste, da nave che non trova la sua vocazione. Questa volta però la sensazione era diversa.
Stava da due mesi, lo Zaza, in quel piccolo, trafficato, azzurro, spicchio di mare tra Lampedusa e Porto Empedocle, impegnato come nave accoglienza. Lo abbiamo visto nei servizi TV, abbiamo letto delle persone che ha accolto, delle operazioni in cui è stato chiamato.
E allora, conoscendo tutto questo, mi ha dato la sensazione di una nave stanca ma orgogliosa. Qualcuno che torna alla normale routine dopo aver fatto qualcosa di buono.
Ho il piacere, come tutti i piloti di Livorno, di conoscere il suo comandante, Ciro Venusto, da diverso tempo e allora, dopo un saluto rigorosamente a distanza, mentre ci avvicinavamo tranquilli all’ormeggio mi sono permesso di chiedere: Com’è andata? Come se la cavano lì?
Da dietro la maschera Ciro mi ha raccontato di come Lampedusa e Porto Empedocle siano, oggi, luoghi dove si riesce a vedere l’Umanità, quella con la U maiuscola.
Dove le persone si ingegnano di trovare il modo di salvare delle vite, letteralmente di tirarle su dal mare e strapparle, per i capelli, dall’oblio.
Mi ha detto di quanto sia necessario essere pronti a tutto in ogni momento, di quanto ogni programmazione o previsione venga spazzata via da quell’ultimo barcone arrivato o da quella motovedetta che miracolosamente ha salvato qualcuno. Mi ha raccontato di famiglie divise, di bambini che hanno perduto ogni affetto. Anche della difficile gestione dei contagiati. Delle navi ONG e delle Autorità, dei medici della Croce rossa e della gente del posto.
Dei novecentocinquanta profughi accolti in questi due mesi.
Aveva l’aria stanca, ma la voce era ferma e orgogliosa quando diceva: si, è difficile ma tutti, proprio tutti, lì si danno da fare per salvare delle vite.
Mentre lo ascoltavo pensavo che gli Italiani quando debbono metterci il cuore, riescono a dare il meglio di se stessi. Una coperta, un pasto, una parola di conforto. Non è poco per chi non ha più niente. Anche se non si è d’accordo sulla motivazione. Anche se si discute sul merito e sul metodo, nel momento della necessità siamo un popolo pronto a rimboccarsi le maniche.
Ha ragione, Ciro, ad essere orgoglioso.
La Moby Zaza ha i personaggi dei Looney Tunes a colorarne la fiancata.
Immagino che quando un barcone arrivava a vederli dopo aver attraversato la notte più buia BipBip e compagni hanno strappato, a quelle persone disperate, un sorriso. Ne sono sicuro, era un sorriso di speranza.